L’ennesima vittima del lavoro fa emergere, come al solito, la litania delle ipocrisie. A Erice muore un operario all’interno dell’industria conserviera “Castiglione” , e tutti a ripetere che così non si può andare e che non si può morire di lavoro.
Istituzioni e sindacati inviano messaggi di solidarietà alla famiglia della vittima e ripetono le solite frasi retoriche e ipocrite, trite e ritrite.
E’ vero che non si può morire a 40 anni come Mimmo Iovine, purtroppo, passato il “dolore” tutto ritorna come prima e tutti si dimenticano che la questione sicurezza sul posto di lavoro in Sicilia è precaria nell’80% dei casi e nel 60% i lavoratori o sono in nero oppure sottopagati con turni di lavoro massacranti e senza alcuna possibilità di un riposo adeguato.
Non c’è settore lavorativo immune da queste situazioni e nel commercio, paradossalmente, si registra la maggioranza dei casi di sfruttamento del lavoratore.
Turni di lavoro ben oltre le ore contrattuali, riposi settimanali zero, ferie non pagate e spessissimo, stipendio inferiore a quello che risulta in busta paga.
Allora viene da chiedersi cosa fanno le istituzioni e quali diritti i sindacati pensano di tutelare in una situazione di diffusa illegalità come quella siciliana. Certo non è pensabile che la sicurazze e i diritto sul posto di lavoro si possano ottenre con convegni che servono solo a vetrine per politici e sindacalisti ma che alla fine producono, paradossalmente, altro lavoro in nero!
Piangere la vittima non serve, serve che i lavoratori prendano coscienza dei loro diritti ma anche dei loro doveri, devono denunciare chi li sfrutta e soprattutto non devono aspettare come falchi il posto liberato da chi si ribella per “sottomettersi” al suo posto.
Finiamola con l’ipocrisia e con la vigliaccheria, cresciamo se vogliamo essere considerati un paese civile, altrimenti accettiamo le morti sul lavoro come una logica e naturale conseguenza della mancanza di sentimento sociale e democratico del popolo che ha, come governanti e sindacati, quel che si merita.