venerdì, Novembre 22, 2024
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Sicilia: omertà istituzionale ed amministrativa.

E’ proprio così. La Regione Siciliana nel suo complesso di istituzioni ha ufficializzato la sua ultradecennale insipienza e lontananza dalla realtà del paese e dal sistema di democrazia entro cui si richiama, nella totale assenza di trasparenza.
Gli sprechi di denaro pubblico si manifestano fino ai più alti livelli delle istituzioni siciliane senza alcuna esclusione tra Assemblea e Giunta  regionale e determinano situazioni di clientelarismo ed assistenzialismo che non hanno eguali nel mondo occidentale.
Ogni tanto si legge di qualche deputato che contesta questo sistema ma alla fine non solo non cambia niente, ma addirittura la contestazione viene assorbita dal sistema, compreso il deputato colpevole di “innovazioni di trasparenza”. Ogni tanto scopriamo che figli e parenti di deputati regionali e nazionali sono dipendenti a vario titolo di enti pubblici o hanno incarichi di consulenza vari, ma poi, passata la notizia, tutto ritorna come e più di prima.
Si legge in questi giorni delle esternazioni tardive, e quindi poco credibili, dell’ex Presidente della Commissione Trasparenza della Regione Siciliana, Lino Buscemi che, in una intervista al quotidiano LIBERO, ha accusato l’establishment siciliano di aver ostacolato la Commissione nella precedente legislatura e di non aver alcuna fretta per ricostituirla.
Buscemi afferma che la Commissione “aveva messo in luce molti punti critici dell’amministrazione regionale, puntando il dito sull’inefficienza della burocrazia e sugli sprechi esistenti in tante attività legate alla Regione, molte delle quali sono tenute in vita nonostante siano prive di utilità“.
Cose che da decenni sono denunciate dai cittadini ed in alcuni casi oggetto di inchieste giudiziarie ,  che ritornano con regolarità nelle cronache regionali senza possibilità di soluzione.
Tra le novità più importanti che la Commissione aveva istituito: l’anagrafe dei dipendenti e la pubblicazione dei loro redditi che secondo Buscemi è stata fatta fallire perché soltanto 50 dipendenti su oltre 21 mila presentarono la loro dichiarazione dei redditi, nell’indifferenza generale della classe politica preoccupata forse di dover rendere conto, dopo dei loro dipendenti, dei loro privilegi e dei loro redditi.
In un sistema dove al cittadino non è dato di sapere quanto si spende in carta igienica a Palazzo Reale e quali privilegi possono godere i signori deputati oltre il loro lauto stipendio, paragonato a quello di un senatore della Repubblica, parlare di trasparenza appare come una bestemmia.
Basta rileggere i contenuti del Regolamento “dei divieti” all’accesso degli atti, varato dagli appartenenti al secondo più antico parlamento d’Europa qualche settimana fa, per avere conferma del fatto che il “sistema istituzionale” siciliano è un sistema chiuso,  teocratico, dove ognuno sembra avere interesse a mantenerlo sotto una coltra nebbia grigia.
Una teocrazia “siciliana” dove ognuno, in ogni  “settore della burocrazia”, sembra avere un proprio referente a cui rispondere e da cui dipendere. E come tutte le teocrazie, il sistema siciliano, appare concepito in antitesi alla democrazia che fonda la sua legittimità per volere del popolo a cui deve rispondere dei suoi atti ed a cui deve dimostrare rispetto e trasparenza.
In questo periodo la Regione Siciliana, non la Sicilia,  è “giustamente” sotto i riflettori dei media nazionali che denunciano scandali in continuazione, senza però che “foglia si muova” perché il tutto verrà insabbiato e metabolizzato dal sistema di omertà istituzionale ed amministrativa.
Ma siamo sicuri che passata la festa, sarà “gabbatu lu santu“. Ovvero, passata l’ondata di indignazione il tutto verrà dimenticato anche da quei quotidiani che hanno sollevato i casi. Rimarranno in pochi, inascoltati ed isolati, a continuare a denunciare sprechi e privilegi in Sicilia.
In questi giorni è in atto la più grande operazione di “risanamento” della sanità siciliana ma per coprire sprechi, incapacità, fatti e misfatti del sistema e le bancarotte di Palermo e Catania si tagliano fondi e servizi ai cittadini e, nel frattempo, si scopre che nel libro paga del comune di Palermo, aziende municipalizziate incluse, vi sarebbero oltre 21 mila dipendenti, più di quanti ne conta l’elefante regionale che ne annovera 21.304, quanto cinque regioni del nord messe assieme!
I Siciliani pagano i ticket sanitari mediamente il 150% in più di quanto pagano i cittadini nelle altre regioni e, sotto il silenzio generale, nel 2006 Cuffaro ha disposto l’aumento dell’addizionale regionale di quasi il 100% rispetto all’anno prima; malgrado ciò, mentre oggi si taglia nella sanità e si stabilisce di ridurre di oltre 5 mila posti la ricettività degli ospedali siciliani, ai signori deputati non rieletti nella recente consultazione terminata anzitempo per le dimissioni di Cuffaro, e che non avevano maturato il diritto alla pensione,  è stata riconosciuta l’indennità di aggiornamento culturale e politico: una sorta di vergognosa “cassa integrazione”   per la casta politica siciliana.
Un sostanzioso contributo al povero deputato non rieletto … in attesa di rientrare in Parlamento o di ottenere qualche poltrona di potere.
L’Isola del tesoro ha una assemblea regionale che sembra un’idrovora e ingoia giornalmente quasi 500 mila euro, pari  a oltre 165 milioni di euro l’anno in stipendi per deputati che percepiscono ognuno, 145 mila euro di stipendio. A questa somma vanno aggiunti alcuni benefit: viaggi e trasferte che contribuiscono a far lievitare il costo della politica in Sicilia per quasi 3 milioni, mentre sono 5 i milioni a disposizione dei deputati per studio, ricerca, consulenza e documentazione.  Dove mettere le auto blu che a Palermo e nell’Isola scorazzano con tanto di fanale blu che per legge può essere utilizzato da determinate autorità e solo per un limitato periodo? Cosa studieranno poi non è dato di sapere visti i modesti risultati che si evidenziano nell’amministrazione dell’Isola. Non è raro ascoltare deputati che parlando dello Statuto dimostrano di non conoscerlo. E stiamo parlando della Carta costituzionale siciliana!
Comuqne, rimarranno sprechi e privilegi e quindi, risanato il bilancio della sanità e non certamente quello della regione, si ricomincerà a produrre deficit e disservizi, assistenzialismo, accompagnato da una buona dose di parentopoli.
Il fatto che un deputato, sia esso nazionale o regionale, venga riconosciuto un assegno pensionistico per l’attività di rappresentante del popolo lautamente retribuita mentre continua a svolgere la propria professione (ndr.: l’avv. Bongiorno che fa il deputato e anche l’avvocato ne è una dimostrazione attuale), è dimostrativo di come la politica sia arrivata ad un punto di indecenza tale da far impallidire anche i maestri della truffa e del crimine.
Ai dipendenti pubblici e privati eletti, viene riconosciuta la progressione della carriera e il diritto alla pensione perché i contributi li paga lo stato. Quindi, doppia pensione, come i sindacati. Una vergogna tipicamente italiana che ha avuto il culmine dell’indecenza nel 1983 con Arturo Guatelli, candidato per la Dc in Lombardia e risultato primo dei non eletti. Nel maggio di quell’anno infati, subito dopo lo scioglimento delle Camere, morì il presidente democristiano del Senato Tommaso Morlino e  lui fu chiamato a subentrargli. Risultato: Guatelli  scoprì che, pur senza aver partecipato a una sola seduta di lavori parlamentari, pagando una ventina di milioni di contributi avrebbe ricevuto, a partire dal sessantesimo compleanno, una rendita mensile di poco più di tre milioni netti. Detto fatto. Guatelli è uno dei tanti che percepiscono una pensione senza aver mai messo piede in Parlamento. Bene ha fatto, in quanto le leggi della casta glielo hanno permesso e lui ne ha approfittato. Cosa è cambiato da quel lontano 1983? Tanto. Sono aumentati a dismisura privilegi, stipendi,  pensioni della casta e più in generale i costi della politica e del pianeta che vive ai margini di essa.
E i sindacati?  Un’altra casta chiusa dove privilegi e sprechi non mancano certo.
Cambierà qualcosa? Difficile. Perché se il sistema Sicilia esiste è perché esiste il sistema Italia, il sistema Italia esiste perché c’è il sistema sindacale, e tutti e tre esistono perché esistono le lobby finanziarie, politiche, del cemento, delle banche, delle assicurazioni, dei notai, degli avvocati, dei baroni della sanità, dei petrolieri, etc.
In estrema sintesi: il sistema Italia non p altro che una babele di caste e lobby che sono collegate tra di loro e la cui interazione produce linfa vitale per la loro esistenza. Il tutto, rigorosamente nel rispetto delle … leggi dello stato.
Ciò che accade in Sicilia non è solo colpa dei siciliani che fanno fatica a cambiare il loro modo di pensare e di operare, è colpa essenzialmente della “generosità” romana che contribuisce a mantenere in efficienza il sistema siciliano, oliandolo continuamente con copiose immissioni di denaro pubblico nelle casse regionali.
Un solo esempio a dimostrare che difficilmente cambierà qualcosa: si parla tanto degli oltre 300 milioni di euro che la Regione Siciliana spende annualmente per i corsi di formazione professionali, che non servono assolutamente a nessuno se non a mantenere in vita il sistema di clientelismo regionale, eppure, come se nulla fosse, malgrado lo scandalo sia scoppiato anche sui quotidiani nazionali, continuano ad essere finanziati senza battere ciglio.
In questa allarmante situazione istituzionale come dare torto a Bossi ed alla Lega Nord?
Ci sono molte analogie sociali ed economiche tra l’attuale situazione siciliana e quella del periodo precedente alla Rivoluzione francese, ma i politici siciliani, come allora i monarchici francesi e il re Luigi XVI, non si accorgono che stanno portando la Sicilia al punto di non ritorno. Fidano, forse, sul fatto che a differenza del periodo rivoluzionario francese, la casta politica si sta “adoperando” per la cancellazione di quella media borghesia che fu determinante per la lotta contro la monarchia in Francia.
Esisteranno solo i ricchi, cioè la casta dominante,  e i poveri,  i lavoratori che pagano le tasse. Chissà se nei loro pensieri c’è anche l’istituzione del gabelliere e del fustigatore.
Noi siciliani si sa siamo fatalisti, ma forse anche noi un giorno guariremo da questa persistente abulia che ci ha colpito oltre un secolo fa.

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